sabato 28 gennaio 2012

L'ambiguità: un malessere diffuso


Lo strano caso del Dr Jekill e Mr Hide è molto più frequente di quanto si pensi. Me ne sto rendendo conto nella sfera delle mie relazioni personali, nella pratica clinica e nell’osservazione della realtà sociale che ci circonda.

Si è ambigui quando si dice una cosa, ma se ne fa un’altra che è in contraddizione rispetto a quanto affermato. In altre parole, pensiero, sentimento e comportamento non sono allineati tra loro.

Certo l’ambiguità può assumere forme molto diverse. Può essere intenzionale, e quindi, una spudorato strumento di difesa dei propri interessi personali: penso a tante persone, anche pubbliche, che conducono una vita in netta contraddizione con i valori che proclamano. Ma può anche essere un meccanismo di difesa psicologico sottile e perlopiù inconsapevole.

Una notizia di qualche tempo fa, che mi colpì molto: arrestati a Roma quattro addetti di un centro di medicina sportiva per spaccio di sostanze stupefacenti. Nulla di così strano, se non fosse che i quattro uomini lavoravano al centro in qualità di vigilantes ovvero per tutti erano le guardie, mentre in realtà svolgevano un’attività criminale.

Come scrive la psicoanalista Simona Argentieriessere ambigui significa evitare il conflitto, il senso di colpa, la fatica della coerenza, lasciando convivere dentro di sé identità molteplici”.

E’ vero, si tratta di un atteggiamento molto diffuso. Ma non si deve confondere la frequenza statistica con la salute mentale. La persona ambigua sfugge alla responsabilità, è internamente divisa, può essere appagata nell’immediato, ma rischia la frammentazione dell’identità personale e il proliferare di problemi relazionali e sociali.

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